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L’arte in fabbrica

Da Officine Buone a Mezzogiorno Illuminato, una prospettiva creativa

Chi ci dice che il bello debba essere accessibile solo in determinate strutture e solo a una classe sociale e professionale affine a questo tipo di linguaggio?

Chi ci dice che una fabbrica non può essere un luogo dove si espongono delle opere?

Quando ai miei bambini chiedono dove lavora la loro mamma, rispondono “in fabbrica!”

Lo scenario che si accende in loro quando usano questo termine non si riferisce a un posto grigio, ferreo e rumoroso, bensì a un luogo creativo, stimolante e ricco di condivisione di immaginari.

Da sempre, prediligo il termine “fabbrica” a quello di “impresa”, perché credo che non debbano cambiare le parole per definire la natura di quello che identificano, ma metterle in relazione con significati diversi.

La nostra è una fabbrica con un’identità solida dai contorni evolutivi, che ci impegniamo ad animare con eventi e cervelli oltre che con pareti parlanti, per generare un ecosistema fatto di bellezza, di tecnologia e di operosità.

Qualche anno fa ho avuto il piacere di visitare l’Alfa Wassermann di Bologna, un esempio di lungimirante investimento nel sostegno della cultura e dell’arte. Camminando per i corridoi, sembrava di essere in un museo, collezioni di opere d’arte alle pareti che riempivano gli occhi e ampliavano i confini, per definire nuove categorie di pensiero fluide e permeabili.

Una nuova dimensione del fare, una nuova idea di fabbrica

Ridisegnare il pensiero portandolo in una dimensione più creativa, genera una nuova dimensione del fare che non è più solo industriale.

Qui c’entra il sogno: sperimentare nuove modalità, andare un po’ più su dalle righe, scombussolare gli schemi rende l’ambiente di lavoro un ambiente che dà vita a soluzioni innovative a questioni “antiche”.

In questo processo sono fondamentali le relazioni e le interconnessioni nuove; prima tra persone poi tra competenze e di conseguenza tra ambiti diversi che ancora non erano stati esplorati insieme.

Ne abbiamo un esempio molto forte nell’ambito della psicologia:

La sfida centrale della scienza del XXI secolo era capire la mente umana in termini biologici. La possibilità di vincere questa sfida si dischiuse alla fine del Novecento, quando le neuroscienze vennero integrate alla psicologia cognitiva. L’associazione di ambiti diversi diede vita ad una nuova scienza della mente che ci ha consentito di sollevare una serie di domande di noi stessi: come percepiamo, impariamo e ricordiamo?

Quale è la natura delle emozioni e dell’empatia?

La nuova scienza della mente ci aiuta a capire chi siamo e ad attivare una serie di dialoghi che ci permettono di indagare i meccanismi cerebrali che rendono possibili l’espressione della creatività dall’arte, alla scienza fino alla vita quotidiana.

La lettura de “L’età dell’inconscio” di Eric R. Kandel, un libro molto bello suggeritomi da @Emilio Bellini docente di business Innovation al Politcnico di Milano durante un corso di Design Thinking, mi ha aiutato a comprendere come tutto questo poteva avere applicazione alla vita industriale.

Talenti in fabbrica: arte, cucina e solidarietà

Con questa prospettiva abbiamo integrato all’interno di un plant produttivo, come quello di San Giuliano Milanese, attività di solidarietà, di educazione e di valorizzazione del talento.

Ne sono esempi il progetto “Mezzogiorno Illuminato”, che intende valorizzare artisti provenienti dalle regioni del mezzogiorno, e la collaborazione con Officine Buone, che attraverso il supporto dei talenti porta avanti progetti di solidarietà.

In occasione della finale di #Special Cook, organizzata da Officine Buone, abbiamo deciso di organizzare una mostra itinerante di Alfonso Mangone. L’ Artista, dalle radici mediterranee, dopo una vita da nomade, ricca di ricerca e di sperimentazione, che lo ha portato a girare il mondo, rientra in Italia e nella nativa Altavilla Silentina in provincia di Salerno.

Il ritorno segna l’inizio di una nuova fase di studio e di sperimentazione, che si concentra essenzialmente su due tematiche: la città, tema a lui caro e da sempre presente nelle sue opere sin dagli esordi giovanili e dal periodo fiorentino e quindi il paesaggio urbano nelle sue varie connotazioni, e la rivisitazione del mito greco: dalla pittura vascolare, ai templi d’Italia e al patrimonio di cultura e di leggende della Magna Grecia.

Il suo talento ha un significato enorme per i designer e i creativi del plant. Vuol dire immergersi nell’arte che diventa fonte d’ispirazione per packaging del futuro.

Qualche mese fa, per dare forma al concetto di arte in fabbrica, abbiamo lanciato una challenge con i nostri ingegneri. L’idea era un’ installazione esterna al nostro plant milanese. Per scegliere il nome abbiamo coinvolto tutta la community social attraverso un contest.

Il nome vincitore? Hanging Dreams.

Sono ali.

Ali di creatività che riempiono di arte la nostra fabbrica.

Ali per rendere i sogni sospesi progetti concreti.

Ali per volare insieme verso un futuro migliore e sempre più sostenibile.

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